sabato 26 febbraio 2011

Agenda digitale: molto importante ma c'è anche altro...ad esempio una PA meno ingombrante

Il dibattito che si svolge nella Rete attribuisce molto opportunamente una notevole attenzione al ruolo che le tecnologie digitali possono giocare come volano di sviluppo dell'economia italiana. Si tratta di un tema di indubbia rilevanza; in molti hanno, ad esempio, ricordato come gli studi della Banca Mondiale abbiano evidenziato come a fronte di un incremento del 10% del tasso di penetrazione della banda larga si possono, in media, registrare incrementi del PIL di oltre 1%.
Al di là dei fondamentali investimenti nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, è tuttavia opportuno porre al centro del dibattito alcuni altri temi che risultano essere cruciali per la crescita del nostro Paese. Intendo, in particolare, proseguire le mie riflessioni andando a focalizzare l'attenzione su un aspetto che non ho toccato nel mio post del 24 febbraio: il ruolo di freno allo sviluppo della PA italiana.
Siamo un popolo di solisti, abituato a arrangiarsi e a giocare sulla creatività individuale. Oggi però non possiamo più fare a meno di una Pubblica Amministrazione più efficiente rispetto a quella attuale: elefantiaca, rigida, inconsapevole delle esigenze del mondo reale. Nel seguito, una rassegna di evidenze, che supporta questa mia affermazione:
  1. la pressione fiscale in Italia ha toccato il 51%: un livello doppio a quello di Giappone e USA (fonte: Confcommercio);
  2. i costi della politica ammontano a circa 24 miliardi di Euro all'anno: sono cresciuti del 40% nell'ultimo decennio (fonte: UIL);
  3. il solo costo di gestione della burocrazia crea alle piccole imprese italiane aggravi di costo dell'ordine dei 25 miliardi di Euro all'anno (ovvero una manovra finanziaria) - fonte CGIA di Mestre;
  4. l'Italia è ultima tra i Paesi OCSE per la facilità di apertura di nuove imprese: per la precisione al 78 posto al mondo (fonte: Banca Mondiale).
Bastano queste (poche e parziali) osservazioni per comprendere quanto il processo di ammodernamento della PA italiana rappresenti una priorità ineludibile. Ma cosa significa in concreto? Senza la pretesa dell'esaustività - e con il piacere intellettuale di animare un dibattito - ritengo importanti i seguenti obiettivi:
  1. il varo di una seria riforma fiscale: enorme è il fardello che grava sulle nostre imprese e che le rende decisamente poco competitive su scala globale a causa di fattori del tutto esogeni (le tasse). Senza entrare in tecnicismi, la definizione di aliquote coerenti alla media europea e l'attuazione di un vero modello federalista rappresentano obiettivi, secondo me, talmente evidenti da non potere più essere ignorati;
  2. la contestuale riduzione della spesa pubblica: condizione, questa, indispensabile per varare una seria riforma fiscale. In questa prospettiva, al di là dei semplici tagli che riguardano i sopra evidenziati "costi della politica", occorre andare oltre la prospettiva dei tagli lineari - figlia della "spending review" di stampo anglosassone - e orientare l'attenzione verso le enormi sacche di spesa inefficiente che sono presenti - in modo non lineare - nella PA centrale e locale: ci saranno scontenti ma non si può continuare andare avanti con la logica "tolgo un pò a tutti per non alterare delicati equilibri politici e rapporti interpersonali". Va nella stessa direzione l'attuazione di un disegno serio di liberalizzazione; è opportuno ricordare a questo proposito che operano in Italia circa 4.800 aziende di servizi pubblici locali e che l'80% di queste è in perdita: pensate ai risparmi che si otterrebbero e alle opportunità che si aprirebbero per le imprese private;
  3. la semplificazione della normativa vigente. Se siamo il Paese in area OCSE dove è più difficile "fare nuova impresa", comprendiamo quanto sia importante andare oltre le scenografiche cerimonie in cui vecchie leggi vengono bruciate; è invece fondamentale cambiare (se necessario azzerare) le leggi vigenti agendo sia a livello centrale che attraverso un'opera di coordinamento degli sforzi degli enti locali.
Si dirà: semplice a dirsi, difficile a farsi... Vero! Ma il nostro Paese non può più aspettare nella consapevolezza che andando avanti di questo passo altro che disoccupazione giovanile al 29%. Che cosa ne sarà dei cosiddetti "nativi digitali"; li salverà Internet o forse hanno bisogno di qualcosa d'altro? Secondo me di tutti e due...
Buona domenica

giovedì 24 febbraio 2011

Alcune priorità per la crescita: tagliando con l'accetta.....

Tutti ormai concordano sulla necessità di trovare una "via per la crescita". Purtroppo molto meno chiare sono le proposte formulate dai vari stakeholders.

Provo a sviluppare un semplice ragionamento, che parte da una presa di coscienza del potenziale del nostro sistema industriale.

  • Le cosidette 4A (Agro-limentare, Automazione, Arredo, Abbigliamento) e il Turismo rappresentano parte molto rilevante del PIL italiano;
  • la competitività futura di questi settori è strettamente connessa alla loro forza di mercato e commerciale sui mercati stranieri: soprattutto quelli emergenti;
  • non basterà tuttavia solo una presenza. Su questi mercati è necessario trasmettere un posizionamento affine alle nostre prerogative, fondato su qualità e innovazione.

Per arrivare al "che cosa fare", dobbiamo prendere atto però che esistono - ad oggi - limiti evidenti che rendono difficile la valorizzazione di un posizionamento quale quello precedentemente descritto:

  • Eccessiva frammentazione del sistema industriale e scarsissima presenza distributiva;
  • Livelli di esportazione sui mercati emergenti assolutamente insufficienti;
  • Bassi livelli di investimenti in innovazione.

In questa prospettiva, ovviamente molto semplificata (ma è giusto per il gusto della provocazione), emergono con grande chiarezza alcune delle priorità a cui necessariamente dovremo pensare se vogliamo aspirare a una crescita sostenibile sul fronte industriale del nostro Paese:

  1. Definizione di un nuovo sistema di Promozione internazionale. L'attuale assetto ICE, Camere di Commercio all'Estero, ecc. è troppo frammentato; occorre concentrare gli sforzi e offrire un servizio integrato alle imprese.
  2. Stimolare l'aggregazione di imprese (attraverso incentivazioni fiscali e forme di finanziamento ad hoc) con particolare riferimento a: (i) la creazione di catene distributive in grado di supportare la nostra presenza commerciale all'estero e (ii) il raggiungimento di quelle masse critiche minime che permettono l'attuazione di veri investimenti in innovazione (oltre che in promozione).
  3. Riformare il sistema educativo nella prospettiva di una valorizzazione di quei "mestieri" che hanno fatto grande l'Italia. Faccio riferimento a tutte quelle professionalità tecniche - di carattere artigianale - che ancora oggi sono alla base del successo di molte nostre imprese operanti nelle cosiddette "economie della creatività" e che sono ampiamente trascurate attualmente (pur essendo ancora oggi un'importante fonte del nostro vantaggio competitivo). Un ruolo tutt’altro che secondario dovrà essere giocato da tutti noi, nella rivalutazione anche a livello culturale di questi mestieri, che spesso trovano meno consensi tra le nuove generazioni a causa di stereotipi di sviluppo che fanno vivere l’artigianalità, il mestiere come forme di lavoro poco gratificanti (peraltro, pur a fronte della constatazione che questi mestieri sono gli unici a resistere senza scossoni ai venti di crisi).
  4. Creazione di iniziative per la messa in rete di distretti industriali. la classica dimensione distrettuale non è più sufficiente; servono competenze e portafogli prodotti sempre più ampi sia per quanto riguarda lo sviluppo dell'innovazione che sul fronte dell'attrattività commerciale. Per questo, occorre varare una politica industriale che ragioni in termini di cluster di distretti, e muova l’attenzione dal concetto di distretto industriale, centrato sull’output (tessile, meccanico, ecc.), verso quello di distretto culturale, centrato su tecnologia, innovazione, know-how condiviso e tradizione.

Sono queste semplicissime (e ripeto parziali) riflessioni che fanno capire come non sia così difficile capire che cosa fare. L'ostacolo vero è dato dalla non volontà di scardinare orti di potere e sterili campanilismi territoriale e ideologici. Ma è anche aquesto che servono queste riflessioni, questo nostro sentirci partecipi di un progetto condiviso di crescita: a renderci conto che i nostri problemi, i nostri obiettivi e le nostre potenzialità travalicano i confini angusti di orti e campanili, e che i loro tenutari non possono non accompagnarci nella sfida della vera crescita.

Auguri a tutti di un'Italia migliore!

sabato 19 febbraio 2011

Finalmente si parte!

Nasce Crescita e Società, un laboratorio di idee e proposte concrete per un'Italia nuova, che vuole guardare avanti con coraggio grazie alla forza di tutti coloro che, aderendo al progetto, sentono la responsabilità di progettare un futuro sostenibile e sereno ai giovani, agli imprenditori e ai lavoratori italiani.

Qui puoi trovare il manifesto.

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Giuliano Noci