Al di là dei fondamentali investimenti nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, è tuttavia opportuno porre al centro del dibattito alcuni altri temi che risultano essere cruciali per la crescita del nostro Paese. Intendo, in particolare, proseguire le mie riflessioni andando a focalizzare l'attenzione su un aspetto che non ho toccato nel mio post del 24 febbraio: il ruolo di freno allo sviluppo della PA italiana.
Siamo un popolo di solisti, abituato a arrangiarsi e a giocare sulla creatività individuale. Oggi però non possiamo più fare a meno di una Pubblica Amministrazione più efficiente rispetto a quella attuale: elefantiaca, rigida, inconsapevole delle esigenze del mondo reale. Nel seguito, una rassegna di evidenze, che supporta questa mia affermazione:
- la pressione fiscale in Italia ha toccato il 51%: un livello doppio a quello di Giappone e USA (fonte: Confcommercio);
- i costi della politica ammontano a circa 24 miliardi di Euro all'anno: sono cresciuti del 40% nell'ultimo decennio (fonte: UIL);
- il solo costo di gestione della burocrazia crea alle piccole imprese italiane aggravi di costo dell'ordine dei 25 miliardi di Euro all'anno (ovvero una manovra finanziaria) - fonte CGIA di Mestre;
- l'Italia è ultima tra i Paesi OCSE per la facilità di apertura di nuove imprese: per la precisione al 78 posto al mondo (fonte: Banca Mondiale).
- il varo di una seria riforma fiscale: enorme è il fardello che grava sulle nostre imprese e che le rende decisamente poco competitive su scala globale a causa di fattori del tutto esogeni (le tasse). Senza entrare in tecnicismi, la definizione di aliquote coerenti alla media europea e l'attuazione di un vero modello federalista rappresentano obiettivi, secondo me, talmente evidenti da non potere più essere ignorati;
- la contestuale riduzione della spesa pubblica: condizione, questa, indispensabile per varare una seria riforma fiscale. In questa prospettiva, al di là dei semplici tagli che riguardano i sopra evidenziati "costi della politica", occorre andare oltre la prospettiva dei tagli lineari - figlia della "spending review" di stampo anglosassone - e orientare l'attenzione verso le enormi sacche di spesa inefficiente che sono presenti - in modo non lineare - nella PA centrale e locale: ci saranno scontenti ma non si può continuare andare avanti con la logica "tolgo un pò a tutti per non alterare delicati equilibri politici e rapporti interpersonali". Va nella stessa direzione l'attuazione di un disegno serio di liberalizzazione; è opportuno ricordare a questo proposito che operano in Italia circa 4.800 aziende di servizi pubblici locali e che l'80% di queste è in perdita: pensate ai risparmi che si otterrebbero e alle opportunità che si aprirebbero per le imprese private;
- la semplificazione della normativa vigente. Se siamo il Paese in area OCSE dove è più difficile "fare nuova impresa", comprendiamo quanto sia importante andare oltre le scenografiche cerimonie in cui vecchie leggi vengono bruciate; è invece fondamentale cambiare (se necessario azzerare) le leggi vigenti agendo sia a livello centrale che attraverso un'opera di coordinamento degli sforzi degli enti locali.
Si dirà: semplice a dirsi, difficile a farsi... Vero! Ma il nostro Paese non può più aspettare nella consapevolezza che andando avanti di questo passo altro che disoccupazione giovanile al 29%. Che cosa ne sarà dei cosiddetti "nativi digitali"; li salverà Internet o forse hanno bisogno di qualcosa d'altro? Secondo me di tutti e due...
Buona domenica
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